TORINO – Il simbolo di un’Italia passata. A 40 anni ancora 23′ in campo, segnando meno, ma con magistero. Dopo oltre 500 partite di A cui aggiungere i 6 anni a Barcellona. Dove nel 2011 gli hanno tributato un addio da gloria: Gianluca Basile è pure il simbolo dell’argento olimpico 2004 e dell’euiobronzo 2003. L’uomo dei tiri ignoranti (suo neologismo) oggi è a Torino con l’Orlandina. Dove passa lui, per favore, tutti in piedi.
Basile, ma come fa, a 40 anni, ad andare avanti?
«Per inerzia… La verità è che è difficile davvero smettere. Lo pensi, lo dici, ma farlo è un’altra cosa. Non sono più quello di 5 anni fa, tantomeno di 10. Dopo un trasferimento in pullman la schiena si lamenta. Ma credo di poter ancora stare in campo. I numeri non li ho più, cerco di fare altro. Quest’anno, stranamente, mi riesce meglio la difesa dell’attacco. Dovrebbe essere il contrario. Però mi piace non far segnare. E devo anche darmi degli obiettivi. Del resto l’attacco è talento e atletismo, la difesa è volontà. Però ne vedo sempre meno. E’ cambiata la pallacanestro, anzi è cambiata la mentalità dei giocatori. Eppure nei tiop team bisogna difendere, lo vedi in Eurolega, o all’Europeo».
Però lei è stato un antesignano, con i tiri ignoranti, della moda dei tiri da tre.
«Non sono convinto che oggi si esageri con le triple. Dipende anche dalla qualità dei tiri. Piuttosto vedo molti più uno contro uno, anzi uno contro cinque. Vedo giocatori andare a sbattere contro il muro difensivo».
A Capo d’Orlando avete una squadra particolare: veteranissimi a fianco di giovanissimi. Come si convive?
«Dopo la brutta esperienza dell’anno scorso con gli americani – che quando sono tanti è difficile tenerli – la società ha scelto un’altra via di investimento sul futuro e su giovani europei. Mi sono meravigliato del nostro ottimo inizio. Ora ci siamo assestati, abbiamo avuto infortuni. Ma resto fiducioso perché abbiamo la terza difesa del campionato. Invece in attacco abbiamo poco talento, siamo da 60 punti, dobbiamo costruire tiri dentro il sistema di gioco. E le difese si sono adeguate. Abbiamo perso tre partite abbordabili. Ma ripeto: ho fiducia. E contro Sassari rientrerà Ilievski e debutterà il giovane Stojanovic».
A proposito, dei tanti ragazzi chi le piace?
«Hanno qualità e approccio giusto. Stojanovic non so ancora come sia. Ad agosto si è infortunato, strappo muscolare di 10 centimetri, eppure si è allenato ancora. Mi sa che è un duro. Perl mi ha sorpreso. Dopo il provino non credevo fosse scelto. Ha avuto ragione Peppe Sindoni. Si allena sempre forte. Tommy Laquintana sta crescendo, anche nella gestione. Ihring ha solo 16 anni».
In Italia si allevano giovani stranieri e alcuni nostrì vanno all’estero: giovani al college e azzurri in Eurolega.
«Dipende, dai momenti, dalle scelte. Io al college non sarei andato. Ma non giudico, certo che Mussini mi ha sorpreso. Giocava 15′ nella finalista scudetto, quest’anno avrebbe avuto più spazio. Qualcosa sarà successo. E prendete Melli, io lo vorrei sempre in squadra, ma evidentemente si era stufato di non essere considerato titolare a Milano. Ha scelto bene, col Bamberg. In difesa migliora i compagni, aiuta come nessun altro. E in una situazione adatta può segnare 20 punti. Bisogna saper scegliere il posto migliore per se stessi».
La prima cosa che cambierebbe nel basket italiano.
«Limiterei gli americani, come in Spagna. Non sono razzista, ma 5 sono troppi: siamo diversi, per mentalità cestistica e filosofia di gioco. E non puoi cambiare la loro testa, giustamente. Preferirei meno atletismo, ma più gioco, più lavoro armonico».
Avete affrontato Torino che torna in A dopo 22 anni.
«E’ sempre un piacere giocare in posti storici, dove c’è passione e cultura cestistica. Torino non è soltanto luve e Toro. E’ bello che la società costruisca qualcosa».
La prima cosa che ha detto al suo ex compagno Mancinelli?
«Che è rimasto la solita testa di e… Lui lo sa»
Da ex azzurro, un giudizio sul cambio di CT
«Francamente non l’ho capito. Sicuramente ci sono stati problemi. Messina è l’unico che possa assumersi questa responsabilità, perché andare ai Giochi è troppo importante per il movimento. E’ che Ettore avrà poco tempo per trasmettere le sue idee. Sarà più difficile andarci che poi fare bene a Rio».
E un giudizio sull’Europeo?
«Abbiamo raggiunto l’obiettivo minimo. Ma la verità è che se i ragazzi non si mettono in testa di difendere per davvero, non si fa strada. I problemi azzurri erano evidenti. Se non hai una superstruttura difensiva non vinci. In attacco invece ho visto più disponibilità. E con il talento che c’è arrivare a 80 è facile».