Daniele Barilli – Il Resto del Carlino
Gianluca Basile, dica la verità: ci ha pensato?«A che cosa, scusate?».
Al fatto che domani potrebbe essere la sua ultima volta da giocatore in via Guasco. «Ah – ride il Baso – avete già deciso che devo smettere…».
Beh, visti i 41 anni è un’ipotesi concreta. «In realtà già l’anno scorso io ero convinto che sarebbe stata la mia ultima partita a Reggio. L’idea, lo confermo, è quella di smettere a fine stagione. Più passano gli anni e più fatico. Vediamo cosa succede. Non vorrei inventarmi una scusa, in estate, per auto-convincermi di poter continuare».
Proverà un’emozione speciale salendo i gradoni del Bigi? «Guardate: quando salgo su quelle scale lì, il cuore batte sempre forte. Le avrò fatte 1.000 volte e quando sbuco fuori e mi guardo intorno vedo tante facce che conosco, tanti amici. Sono emozioni speciali».
Si ricorda quale fu la sua prima vera partita con la maglia biancorossa? «Ahi… Penso in Coppa Italia. Non ricordo bene con chi. Forse Cantù… O Treviso?».
La Benetton; di fronte aveva un certo Henry Williams… «Sì, sì: vero. Ora ricordo».
E cos’altro ricorda? «Che avevo paura. Tantissima paura. Mi ero ritrovato in quintetto per caso perché Meleo e Cavazzon, che erano i titolari, si fecero male e Consolini fu costretto a farmi giocare. Non c’era più nessuno…».
Qual è il ricordo più bello che ha dei suoi anni a Reggio? «Facile: la promozione in serie A e la semifinale-scudetto. Per me, che ero un ragazzino, furono soddisfazioni enormi. Nei playoff tricolori eliminammo prima Milano e poi Treviso: ci sembrava di vivere un sogno. Poi trovammo la Fortitudo Bologna, ma lì era un ostacolo davvero troppo alto».
La festa più grande, però, fu per la promozione. «Si, proprio così. La sera che porto maggiormente nel mio cuore è quella di gara-4 contro Gorizia. Disputai dei playoff di altissimo livello poi quella sera lì giocai un match clamoroso. Chiusi la finale con una percentuale di realizzazione del 75% da due punti. A quell’epoca – sorride Gianluca – avevo gambe potentissime. Non mi teneva nessuno: mi piaceva vincere facile. Adesso per a costruirmi un tiro devo chiedere la grazia…».
E il ricordo meno bello? «Momenti difficili ce ne sono stati. Ad esempio il giorno del mio arrivo a Reggio. Ero un ragazzino, venivo dalla Puglia e non conoscevo nessuno. Scesi dal treno alle 6 di mattina e mi ritrovai solo in una città sconosciuta. Non sapevo cosa fare e dove andare: aspettavo Max Menetti, ma lui si era dimenticato e, all’epoca, non c’erano i cellulari».
Tra i mille aneddoti, c’è quello in cui lei prese il treno per Roma invece di quello per Reggio… «Facevo il servizio militare a Firenze, finivo il turno poco prima delle 14 e alle 14,07 avevo il treno per venire ad allenarmi. Era tutto calcolato al secondo. Arrivavo in stazione a Firenze e salivo al volo. Un giorno cambiarono il binario del treno e io salii sul convoglio sbagliato. Mi ritrovai a Roma, senza soldi e senza nessuno a cui chiedere aiuto. Ora è facile farci una risata, ma vi garantisco che per me non c’è stato niente di facile. Non ho mai trovato la pappa pronta». .
E la sua ultima partita in biancorosso la ricorda? «Sì, quella sì: eravamo a Milano al PalaTrussardi contro Cantù perché loro avevano il campo squalificato. Feci una partita disastrosa. Non segnai neppure un punto. La verità è che poche ore prima Mario Ghiacci, che all’epoca era il general manager, mi disse che c’erano molte probabilità che io potessi essere ceduto ad una delle due squadre bolognesi. Lì capii che il mio ciclo a Reggio era finito. Era giunto il momento, per me, di fare un salto di qualità».