Roberto Rubiu – Sardegnasport.com
Ha fatto la storia della pallacanestro negli ultimi 20 anni, sia in Italia che in Europa. Ma a Sassari è atteso come un nemico. Colpa di un intervista rilasciata un mesetto fa, nella quale – secondo i tifosi biancoblù – si sarebbe macchiato di vilipendio allo storico tricolore conquistato a Reggio Emilia. Gianluca Basile, però, non avrebbe mai immaginato di sollevare un simile polverone. Anche perchè il Baso, i suoi quattro titoli nazionali tra Italia e Spagna, li ha conquistati col sudore della fronte, e sa bene quanto sacrificio sia necessario per arrivare al successo. Nessun attacco alla Dinamo, dunque, ma solo un ragionamento maldestramente semplificato e sbattuto in prima pagina con un titolo sensazionalistico. Aveva giurato di non concedere altre interviste telefoniche, Basile, sinceramente dispiaciuto dal vespaio di polemiche suscitato dalle sue dichiarazioni. Ma, alla vigilia del match tra la sua Betaland e il Banco di Sardegna, l’ex fortitudino ha accettato di tornare con noi sulla vicenda per cercare di chiarirne una volta per tutte i contorni.
Che accoglienza ti aspetti dopo ciò che è successo?
“Sono preparato a tutto. Ho tanti anni di professionismo alle spalle ormai. In alcuni campi mi capita di essere applaudito, in altri di essere fischiato. Me ne farò una ragione. Certo è che sono rammaricato per la situazione che si è venuta a creare. Non volevo offendere nesssuno, ma semplicemente esprimere la mia idea sulla pallacanestro italiana del giorno d’oggi. Una libera opinione, insomma, che però è stata trascritta in maniera fuorviante”.
A Sassari ci sono rimasti male.
“Lo capisco, ed è giusto. Perchè leggendo una cosa del genere mi sarei offeso anche io. Ho avuto la fortuna di vincere qualche scudetto nel corso della mia carriera e so bene quanti sacrifici siano necessari per raggiungere un risultato simile. Ancor di più in una piazza che non fa parte dell’èlite tradizionale del basket italiano. Infatti mai mi sarei permesso di pronunciare una frase del genere nei confronti della Dinamo”.
In buona sostanza, Gianluca Basile non ha mai detto che lo scudetto di Sassari è stato dannoso per il movimento cestistico.
“No, ripeto, non avrei mai potuto. Ho espresso maggior gradimento per il progetto tecnico di Reggio Emilia, che da qualche tempo sta provando a introdurre in Italia una cultura cestistica di stampo europeo. Ma questa è solo la mia opinione. E’ come dichiararsi di destra o di sinistra: gusti personali sui quali penso ci sia poco da sindacare. Ciò che ho detto, poi, è stato strumentalizzato da un giornalista reggiano, che forse aveva interesse a gettare benzina sul fuoco dell’ultima finale scudetto. Ho anche avuto un chiarimento con lui, perchè tirar fuori un titolo così è stato sbagliato.”
Qualcuno ha recepito le tue dichiarazioni come un’esaltazione della maggior “italianità” della Grissin Bon.
“Me ne sono accorto, e probabilmente l’intervento successivo di Amedeo Della Valle non ha aiutato in questo senso (LEGGI QUI). Ma non è assolutamente ciò che ho detto, e basta leggere attentamente la mia dichiarazione per rendersene conto. Ho esclusivamente fatto notare la contrapposizione tra una cultura cestistica di stampo americano, improntata prevalentemente sull’atletismo, e una europea, che invece porta a una maggior valorizzazione della tecnica. Ecco, io prediligo quest’ultima, nient’altro. E penso che se Reggio Emilia avesse vinto lo scudetto, magari qualche altra squadra avrebbe potuto seguirne l’esempio costruendo i roster in maniera diversa. Più “europea”, per l’appunto. Lungi da me invocare il protezionismo nei confonti dei giocatori italiani.”
Se vuoi possiamo approfondire il discorso.
“Certo. E’ molto semplice: un giocatore italiano deve giocare solo se merita. La pappa pronta non mi è mai piaciuta, infatti non sopporto procuratori che, al momento della firma di un contratto, chiedono garanzie sul minutaggio dei propri assistiti. Bisogna sempre lottare per meritarsi il posto. Quando giocavo per la Fortitudo c’erano meno americani, ma avevo comunque davanti campioni come Myers, Jaric, Karnišovas e Mulaomerović, e posso assicurare che trovare spazio non era semplice. Infatti non ne ho fatto una questione di più o meno italiani in squadra. Ho solo detto che preferisco il basket di scuola europea, e riconosco a Reggio un’idea di pallacanestro che si avvicina maggiormente alle mie idee.”
Una pallacanestro, mi pare di capire, basata più sul gioco di squadra che sulle individualità.
“E’ così. Nonostante fosse nettamente sfavorita sulla carta, la Grissin Bon è riuscita a portare a gara 7 la Dinamo mostrando un gioco più collettivo, che si avvicina a quello mostrato dalle formazioni di alto livello in Europa. La Dinamo, invece, ha vinto esaltando il talento e l’atletismo dei propri singoli. Una mentalità, questa, che si avvicina certamente alla scuola americana. Non c’è nulla di male nel scegliere questa soluzione, ci mancherebbe. Ogni squadra è libera di spendere i soldi e di allestire le squadre come ritiene più opportuno. Io ho espresso solo il mio modesto parere: il basket italiano trarrebbe dei vantaggi se si puntasse maggiormente su giocatori di europei.”
Il motivo che spinge tante squadre a puntare sugli americani è probabilmente di natura economica.
“Si sa, il giocatore statunitense spesso costa meno. Ma se si guardano anche altri campionati, specie nell’est Europa, si trovano tanti ragazzi giovani che hanno voglia di emergere e che magari non richiedono un esborso economico insostenibile. Noi a Capo d’Orlando lo abbiamo dimostrato (il riferimento è a giocatori come Stojanovic, Ihring, Perl, Vujicevic e Babilodze, ndr).”
Cosa non ti convince degli americani?
“E’ soprattutto una questione di mentalità. Tante volte sono ragazzi con un talento pazzesco, ma totalmente imprevedibili dal punto di vista dell’atteggiamento. Se decidessero di sacrificarsi per la causa e giocare di squadra, con le doti che hanno, non ce ne sarebbe per nessuno. E invece no, spesso si presentano senza fame, senza ambizioni. A volte li vedi trascinarsi per il campo in allenamento. Una cosa totalmente inaccettabile per come ho vissuto io la pallacanestro. Ma è possibile che un giocatore di 24 o 26 anni, al massimo della sua forma fisica, possa comportarsi in questo modo? Non capiscono che dovrebbero mangiarsi il campo per arrivare, un giorno, a giocare nel Barcellona o nel CSKA. Invece tante volte guardano unicamente alle statistiche personali per cercare di strappare, l’anno successivo, un contratto da 20 o 50mila dollari in più.”
Ma non sempre è così.
“Vero. Se riesci a prendere l’americano che arriva con la testa giusta, difende e dà tutto, allora la stagione può svoltare. Le sorti di un campionato molto spesso dipendono da questo fattore. Penso, per esempio, ai casi di Cremona e Pistoia, che hanno trovato degli stranieri in grado di amalgamarsi al meglio. Poi però c’è anche il rovescio della medaglia, e mi viene in mente proprio la Dinamo degli ultimi mesi. Insomma, i giocatori statunitensi sono più talentuosi e costanto meno. Ma poi non ci si deve lamentare se risultano imprevedibili e, soprattutto, difficilmente gestibili all’interno di un gruppo.”
Il recente caso di Tony Mitchell può senz’altro essere citato a supporto della tua tesi. MVP a Trento la scorsa stagione, quest’anno rispedito indietro da ben tre squadre.
“Funziona così, purtroppo. L’imprevedibilità di questi giocatori ti porta magari a vincere lo scudetto in una stagione, poi a deludere clamorosamente le aspettative soltanto qualche mese dopo. Credo che il caso di Sassari sia, ancora una volta, perfettamente calzante: quest’anno, come abbiamo visto tutti, ne va una giusta. Ma nell’ambiente le voci circolano, e sappiamo bene che anche lo scorso anno per coach Sacchetti non è stato semplice gestire un gruppo che diverse volte si è trovato in difficoltà. Penso per esempio a Edgar Sosa, messo fuori squadra e poi reintegrato a stretto giro di posta. In tutto questo ritengo che il giocatore europeo possa risultare più costante e soprattutto più gestibile, sia individualmente che all’interno di un gruppo. Ecco perchè ho provato a spendermi per una cultura di pallacanestro diversa. Solo che non tutti hanno recepito il messaggio.”
Quest’anno gli americani della Dinamo proprio non riescono a trovare la quadra.
“L’ho detto prima: quando ci si affida a un certo modello di basket una volta può andar bene e quella successiva male. Senza che ci siano troppe spiegazioni. Del resto il roster messo in piedi in estate, sulla carta, era forse migliore rispetto a quello che ha vinto tutto soltanto pochi mesi fa. E’ andata così purtroppo, ma sono certo che alla Dinamo sapranno fare tesoro di quanto è successo per non commettere in futuro gli stessi errori. I meriti del presidente Sardara e dei suoi collaboratori sono sotto gli occhi di tutti, Sassari è una bella realtà che è venuta fuori un passettino alla volta e non deve avere fretta. Poi non dimentichiamoci che la stagione è ancora lunga, e in virtù dell’imprevedibilità di cui ho parlato prima, potrebbe sempre svoltare in positivo da un momento all’altro…”
I biancoblù si sentono sotto attacco: prima le tue dichiarazioni, poi quelle di Cinciarini e Bianchini hanno indotto il presidente Sardara ad affermare che ” lo sport nazionale pare sia diventato insultare Sassari o fare di tutto per sminuirne i risultati”.
“Ho sentito anche io le dichiarazioni di Cinciarini dopo la finale di Coppa Italia, e sono rimasto sinceramente sorpreso. Di “rubato”, nello scudetto della Dinamo, non c’era assolutamente nulla. La Grissin Bon ha avuto tante occasioni per vincerlo e non l’ha fatto, per cui può recriminare solo contro sè stessa. L’intervento di Bianchini, invece, penso sia stata una comprensibile difesa della categoria da parte di un ex allenatore, niente di più. Ora è facile sparare addosso a Sassari, visto che non c’è nulla che stia andando per il verso giusto”.
Che idea ti sei fatto sull’esonero di Sacchetti?
“In generale non ho mai visto di buon occhio i cambi di allenatore. Se scegli un tecnico, devi crederci fino al termine della stagione. Poi non mi permetto di entrare nel caso specifico. Se il presidente della Dinamo ha optato per questa decisione avrà avuto i suoi buoni motivi”.
Rimaniamo sul tema Sacchetti: non pensi che il tecnico che più di ogni altro negli ultimi tempi si è dimostrato capace di gestire il talento individuale, sarebbe stato il più indicato a guidare la Nazionale più talentuosa di sempre?
“Sacchetti gioca un basket frizzante, che mira ad alzare vertiginosamente il numero dei tiri e dei possessi. Giocatori di grande talento come Gallinari e Belinelli potrebbero anche trovarsi a loro agio. Non sono del tutto sicuro, però, che un sistema del genere possa funzionare anche ad alto livello in Europa”.
Passiamo a una lettura del campionato: Milano, con Repesa, sembra aver finalmente trovato la quadra.
“E’ qualche anno, ormai, che lo scudetto lo possono perdere solamente loro. Sono più forti a livello di organico, e rispetto al recente passato hanno puntato maggiormente su giocatori europei con gli innesti di Simon, Kalnietis e Macvan. Li vedo più tosti e quadrati, e mi pare abbiano trovato una certa identità di gioco. Poi, come detto, può sempre succedere di tutto. Anche perchè Reggio e Cremona stanno tenendo il ritmo.”
E la Betaland come se la passa? Anche voi avete dovuto fare i conti con un cambio di allenatore.
“Abbiamo cambiato strategia quest’anno rispetto all’anno scorso, inserendo due americani e completando il roster con giocatori europei. Siamo partiti bene, con tre vittorie nelle prime quattro partite, poi abbiamo patito gli infortuni di Jasaitis e Nicevic e siamo andati in calando. A gennaio c’è stato l’innesto di Boatright, che ci ha permesso di alzare la produzione offensiva. Prima del suo arrivo, infatti, faticavamo a realizzare più di 65/70 punti a partita. Assieme a Ryan è arrivato anche Nankivil, e sono tornati a disposizione gli infortunati. Così abbiamo ripreso ad allenarci bene, e i risultati non sono tardati ad arrivare. Ora siamo in fiducia, arriviamo dal successo su Torino e l’obiettivo stagionale è a un passo. Ma fino a quando non avremo il conforto della matematica non molleremo di un centimetro.”
La sfida del PalaSerradimigni arriva forse nel momento migliore per voi: la Dinamo è in crisi e fatica a rialzarsi.
“Sarà, ma non faccio troppo caso a queste cose. Di recente abbiamo affrontato Reggio senza Gentile e Aradori, con Lavrinovic che si è fatto male nel corso della partita, e nonostante questo siamo riusciti a perdere. La stessa cosa è successa quando ci siamo trovati a incontrare Cremona priva di Vitali. Preferisco pensare sempre che i nostri avversari siano al completo e al massimo della forma, senza fare certi calcoli. Se ci aspettassimo una Dinamo in disarmo, commetteremmo un grosso errore. Al contrario, mi aspetto di vedere una Sassari orgogliosa, aggressiva e determinata a riscattarsi. Non credo assolutamente che dei giocatori così importanti possano aver già mollato la presa, quando manca ancora un mese e mezzo alla fine della regular season”.
Arriviamo alla domanda fatidica: hai deciso se continuare a giocare anche nella prossima stagione?
“Non so, non ho ancora deciso. Sceglierò senza fretta, nei prossimi mesi. Posso dire però che l’anno scorso, di questi tempi, ero certo di voler continuare. Ora come ora, invece, sono maggiori le possibilità che decida di smettere. Dopo 21 anni tra A1 e A2 il fisico inizia a non rispondere più come dovrebbe. Una cosa normale, a questo punto della carriera. Il problema è che la testa è sempre rimasta la stessa, nonostante il tempo trascorso. E’ una mazzata terribile, per me, non essere fisicamente in grado di mettere in pratica ciò che la testa vorrebbe. Se l’andazzo è questo, allora preferisco non soffrire più e appendere le scarpette al chiodo. Comunque, ripeto, una decisione definitiva la prenderò prossimamente.”
In ogni caso, pare di capire che non ti stimoli più di tanto l’idea di rimanere nel mondo del basket.
“Non mi piace più l’ambiente, questa è la verità. Adesso come adesso non riesco a immaginarmi come dirigente, allenatore o vice. Però nella vita non si sa mai. Ora penso solo a chiudere la stagione, poi deciderò. Mi prenderò il mio tempo e valuterò tutto con calma e serenità.”
Roberto Rubiu