Gabriele Ferruccio – losportivomagazine.com
Capo d’Orlando – È una giornata di sole a Capo d’Orlando, e coach Gennaro Di Carlo, dopo aver condotto la Betaland Capo d’Orlando alla matematica salvezza, ha da poco rinnovato il contratto fino al 2018.
Appena entrati al PalaFantozzi sentiamo già l’atmosfera di un paese che grida il suo orgoglio, l’attesa di qualche minuto, poi arriva Di Carlo e iniziamo la nostra chiacchierata in Sala Stampa, seduti uno a fianco dell’altro e con un registratore in mezzo.
Cominciamo subito: chi è Gennaro Di Carlo?
«Gennaro è una persona che ama la vita e la sua famiglia, per certi versi immaturo per altri versi istintivo, passionale e a modo suo responsabile».
Di Carlo è anche papà. È più difficile allenare una squadra di Serie A o essere padre?
«(Ride, ndr,). Non so cosa sia più difficile! Magari un giorno, quando non ci sarò più, i miei figli stabiliranno se sono stato un bravo papà, mentre se mi dovessi basare solo sul presente potrei dirti “si, è difficile fare l’allenatore”. Il nostro però è un mondo competitivo, e credo che per poterti dire se sarò stato in grado di fare l’allenatore di una squadra di Serie A, spero anche importante, ne potremo parlare quando andrò in pensione».
Sei una persona “social”?
“Assolutamente no, mi dà fastidio vedere persone al ristorante che non parlano più e stanno perennemente con lo smartphone in mano. Personalmente non amo i social network perché ovattano la personalità della gente. In più, secondo me, scrivere è totalmente diverso da esprimersi di persona, e per il mio modo di essere preferisco un contatto di persona piuttosto che qualcosa di scritto o fotografato. Però contemporaneamente mi rendo conto che il “social “è la quotidianità, ed anche lo strumento più veloce ed immediato per comunicare con gente dall’altra parte del mondo. Per cui credo che nel mio futuro più prossimo ci sia la possibilità di diventare più “social”.
Parliamo di campo, domenica l’Orlandina ha ottenuto la salvezza matematica: che impresa è stata?
“Abbiamo vissuto una favola quest’anno a Capo d’Orlando. Quando mi fermo a pensare che solo 90 giorni fa eravamo ultimi a 2 punti dalla penultima, e oggi a 2 gare dalla fine siamo matematicamente salvi, penso che si è stravolto il mondo e che il nostro girone di ritorno sia stato, ripeto, una “favola”. Lo è stata per me perché ho avuto la possibilità di allenare in Serie A, e per noi perché siamo sulla bocca di tutti e cominciamo a toccare con mano cosa significa essere un po’ più “sotto i riflettori”, nel bene e nel male“.
Qual è il segreto di questo magico ambiente?
“Penso che abbia dei connotati ben precisi, e si chiamano Enzo e Peppe Sindoni. Sono due geni, persone dall’intelligenza fuori dal comune, che grazie a ciò riescono a mixare in maniera equilibrata l’aspetto passionale e quello razionale. Io mi definisco un passionale, e a volte la passione ti fa dimenticare la razionalità, mentre loro sono passionali e razionali al punto giusto, e tutto inizia da loro. A questo poi dobbiamo aggiungere il tramonto di Capo d’Orlando, il clima che aiuta il benessere fisico e psicologico degli atleti, la “familiarità” degli orlandini, una bella squadra come quella costruita quest’anno, e Ryan Boatright, giocatore eccezionale. Ed ecco che ci troviamo immersi nella favola di quest’anno“.
Ho sempre avuto l’impressione che il tuo carattere rispecchi l’ambiente caldo del PalaFantozzi: pensi che il “fortino” abbattuto solo da Trento in questo 2016 sia dovuto anche a questa simbiosi fra te, i tifosi e la squadra?
“Personalmente sono arrabbiato per aver perso contro Trento, soprattutto dopo aver dimostrato per oltre tre quarti di aver fatto meglio di loro. Penso che il mio carattere, che ha i suoi pregi e suoi difetti, abbia trovato terra fertile sia nel popolo orlandino che nella squadra. Questa volta è andata bene, ma adesso dobbiamo stare attenti perché le aspettative dei nostri tifosi, dopo un annata del genere, aumentano, e nella costruzione della squadra dell’anno prossimo dovremo essere ancora più bravi a dare continuità. A quel punto vedremo se la simbiosi continuerà, io, ovviamente, lo spero“.
Tornando proprio alla gara con Trento, faresti fallo a 23” dalla fine per poi giocarti la palla della vittoria?
“Non cambierei scelta, perché nell’ultimo quarto avevamo l’inerzia a sfavore. Fossimo stati in recupero avrei fatto fallo, ma l’inerzia era dalla loro parte. Penso però che siamo stati sfortunati a subire canestro a 0’90” dalla fine avendo la possibilità di chiamare un timeout. Confidavo, magari, in un canestro loro a 3”/4” dalla fine per poterci giocare la nostra chance di vittoria, così invece non è stato, ma è questione di episodi. Quest’anno ci è andata bene tante volte, mentre altre no. Il basket è questo, questa volta siamo stati sfortunati.”
È cambiato il modo in cui ti rapporti con i Veterani?
“Il rapporto è cambiato in parte. Si è modificato perché anche il veterano ha bisogno dell’allenatore. Ci sono certi momenti in cui anche per loro sei “solo” l’allenatore, dunque ti prendi la responsabilità sulle decisioni che prendi. Su altri aspetti invece no, perché rimane la conoscenza delle persone che avevo quando non ero capo allenatore, quindi il rapporto personale è rimasto inalterato. Il rapporto è cambiato solo nei ruoli, quando poi si scende “in battaglia”. Se prima ero il tramite per arrivare al capo allenatore, oggi sanno che il parlare con me è su binari diversi, ma questo non ha cambiato il profondo rispetto che abbiamo in maniera reciproca.“
Ad un certo punto della stagione eravate a soli 2 punti dai playoff: quanto ci avete creduto?
“Ci abbiamo creduto anche precedentemente alla trasferta di Pesaro. Credo che così com’è stata una molla incredibile la vittoria con Venezia, sia stato un rospo duro da digerire la sconfitta di Cremona, perché laddove nessuno credeva che noi stessimo pensando ai playoff, noi nello spogliatoi a fine gara ci siamo guardati negli occhi e avevamo capito di aver perso tante chance di centrare quell’obiettivo. Abbiamo capito che il 70% delle nostre possibilitò si erano fermate al PalaRadi. La squadra, però, ha comunque continuato a lottare, macinando gioco, e affrontando anche le difficoltà derivate dagli infortuni. Detto questo, penso che la gara di domenica ha dimostrato che i ragazzi hanno dato tutto e lo faremo anche ad Avellino e contro Pistoia.”
È stata la tua prima esperienza in Serie A da capo allenatore: quali sono i tuoi obiettivi per la prossima stagione? Che Orlandina sarà?
“Spero di confermarmi a questo livello, perché un conto è fare quattro mesi da capo allenatore “subentrato”, un conto è creare una squadra che poi deve affrontare un intero campionato in maniera avvincente. Gli obiettivi dell’Orlandina del futuro penso che siano la continuità del progetto, partendo da giocatori che abbiamo già in roster quest’anno e che nella prossima stagione devono “schiudersi” come pulcini. La gara di Perl di domenica ci proietta già al futuro, e spero che l’anno prossimo i ragazzi giovani su cui abbiamo puntato possano diventare l’architrave sulla quale costruiremo la prossima stagione”.
Hai più volte fatto metafore con le barche: ti ha influenzato Basile? Ti immagini una “barca” da playoff la prossima stagione?
“Basile mi ha influenzato in parte (ride, ndr). Mi immagino un giorno di avere un gozzetto, solo per il fatto di respirare l’area del mare, isolarmi un po’, e rilassarmi qualche ora in mezzo al mare. I playoff? Se dovessimo continuare il campionato di quest’anno raggiungeremo i playoff… da passionale ti dico che li raggiungeremo di sicuro.”
Facciamo un salto indietro: Arrivi a Capo d’Orlando nell’estate del 2014. Rifaresti questa scelta?
“Al 500%. Intanto perché a chiedermelo è stato Giulio (Griccioli, ndr), persona con la quale avevo già fatto un’esperienza intensa (Scafati, stagione 2010/2011), poi perché nella mia precedente da capo allenatore vinsi a Capo d’Orlando e a fine partita Enzo Sindoni venne a farmi i complimenti, e mi rimasero in testa perché vivevo un periodo difficile. Inoltre, da quando ho cominciato ad allenare non ho mai sentito una parola negativa su Capo d’Orlando da gente che era stata qui da giocatore o allenatore. Così anche il mio agente mi disse: «Ascoltami, sarai un po’ lontano da casa, ma a Capo d’Orlando si sta una “favola”». E aveva ragione.
26 dicembre 2015: Enzo Sindoni ti chiama per prendere in mano la squadra. Cosa vi siete detti?
“È stato come per il rinnovo. Ci si è guardati negli occhi, e senza parlare ci si era già capiti. E in quel caso l’istinto e la passionalità hanno prevalso sulla razionalità. Mi piace pensare e sognare di poter essere come Enzo, non so se un giorno sarò mai come lui.”
Hai firmato il rinnovo fino al 2018: dove vedi Gennaro Di Carlo da qui a 5 anni, e dove vedi l’Orlandina da qui a 5 anni?
“Fra 5 anni, e spero di no, mi immagino 120 kg (ride, ndr)!. Sono abituato ad avere un modello o un target da raggiungere. Non riesco ad immaginarmi cosa o come sarò fra 5 anni. Mi piace vivere il presente a Capo d’Orlando, in una realtà che ha lungimiranza, cosa rara in questo mondo, e l’attualità mi dice che il mio obiettivo è cercare di confermarmi in questa squadra. Spero di poter raggiungere delle grandi soddisfazioni, e penso che l’Orlandina stupirà tanto, perché abbiamo risorse notevoli, e mi riferisco soprattutto alla gente di Capo d’Orlando, e alla loro capacità di produrre idee. Penso che da questo punto di vista l’Orlandina stupirà tanto e tanti, e tra 5 anni, se avrò la fortuna di rimanere qui, spero di essere un modello da seguire.”