di Sebastiano Ilardi – Ufficio Stampa Betaland Capo d’Orlando
Anche quest’anno il miracolo di Capo d’Orlando s’è ripetuto. Ci siamo fatti raccontare da Giuseppe Sindoni, praticamente da sempre in società, anzi la società, la sua stagione sportiva 2015/16 partendo dal tryout di maggio 2015.
Mi fa piacere che si pensi che la stagione che si sta per concludere parta da quella settimana di maggio. Il tryout è stato un passaggio fondamentale, oltre che aver visto dei ragazzi (Perl, Vujicevic, Ihring, ndr) che si sono dimostrati fondamentali per raggiungere la salvezza, infatti, è stato il primo step di una costruzione ragionata. È inutile nasconderlo, per me questa non è stata una stagione come le altre. La soddisfazione di vincere delle partite e salvarsi con un ragazzo come Zoltan (Perl, ndr) che fino all’anno scorso giocava in un palazzetto di 700 persone, non può che essere tripla o quadrupla rispetto al normale. Abbiamo rischiato dando responsabilità a dei ragazzi, come nessuno probabilmente avrebbe fatto. Ricordo la prima gara con Cantù quando per tutta una serie di vicissitudini Perl si ritrovò in quintetto. Realizzare alla fine di aver vinto una partita di Serie A con l’impatto pazzesco di un giovane, osservato a lungo e voluto, all’esordio in una partita di questo livello, ti fa pensare “cavolo così è bellissimo, continuiamo”. Poi per una serie di ragioni indipendenti dalle nostre scelte, ci siamo trovati a vivere un dramma sportivo e tutto è stato rimesso in discussione. Se andiamo a ricercare i motivi della crisi di risultati però, io al primo posto metto gli infortuni, per di più occorsi in un periodo di campionato in cui si giocava ogni tre giorni. Finire il campionato con grandi prestazione di squadra e con i giovani che sono tornati a giocare ruoli cruciali è stato per noi una soddisfazione immensa. Questa salvezza raggiunta ha un valore immensamente più grande rispetto a ogni altra.
Non sono stati solo rose e fiori però. Mi ha fatto molto incazzare la sfiducia palesata dall’ambiente nei momenti di difficoltà. Capo d’Orlando è meravigliosa, un ambiente che adoro dal punto di vista emotivo, ma credo non sia ancora totalmente maturo dal punto di vista sportivo. Per la prima volta nella sua storia, oggi questo club sta puntando sui giovani e per sostenere questo progetto serve mentalità. Ognuno di noi nella propria mansione, con il proprio compito, che sia dirigente, allenatore, tifoso, preparatore, genitore, deve sostenere i ragazzi. Nella fase centrale del campionato questo supporto è venuto a mancare, e non va bene. Mi auguro non succeda più. Occorre un passo in avanti in tal senso da parte di tutti.
Il progetto Orlandina Basket ora riparte, anzi continua. Tra le varie finestre di mercato abbiamo sentito parlare della volontà di avere una squadra più europea.. ci semplifichi meglio il concetto spiegando qual è la tua idea alla base della costruzione del team e della squadra per il futuro?
Le ragioni che ci hanno fatto propendere per la costruzione di una squadra europea sono state e sono molteplici. Puntando tanto sui giovani devi necessariamente pensare a un sistema di gioco che preveda responsabilità a livello tecnico ampiamente condivise. Non puoi basarti, ad esempio, sul talento di due, tre elementi e sperare che il talento da solo ti porti dei risultati. La mentalità che noi vogliamo costruire e diffondere parte da una pallacanestro di principi e valori, che sappia valorizzare il talento, ma anche permettere lo sviluppo dei giovani. Giocare una pallacanestro “corretta” nelle opportunità date e nella lettura delle situazioni di gioco può permetterti di far crescere i giovani dando loro anche responsabilità. Quest’anno abbiamo intrapreso una strada difficilissima dato il budget a disposizione. Abbiamo puntato su una squadra in cui i due giocatori più pagati sono un playmaker con l’esigenza di coinvolgere appieno i compagni per rendere al meglio e un tiratore che s’innesca innalzando la qualità del gioco. Abbiamo corso un grosso rischio e nel periodo in cui abbiamo avuto tanti infortuni ci ha penalizzato, ma alla lunga la scelta ha pagato. Capo d’Orlando nonostante avesse il budget più basso della Serie A è riuscita a salvarsi a due giornate dalla fine riuscendo anche a valorizzare tre giovani che potranno rappresentare le fortune del club in futuro.
Parliamo di Boatright. Come si porta a Capo d’Orlando un giocatore del genere?
Sapevamo che l’esonero di Griccioli e la promozione di Di Carlo non potevano essere sufficientemente risolutive e allora ci siamo messi alla ricerca di un esterno anche perché avevamo fuori o non al meglio Ilievski, Stojanovic e Jasaitis. Serviva un giocatore in grado di darci talento e freschezza tecnica e mentale. Anche se sono giovane d’età, a settembre inizierò la mia ottava stagione da direttore sportivo e ti confido con sincerità che il mese di Gennaio scorso è stato il più difficile della mia carriera. Ho dormito pochissimo e male perché non riuscivo a trovare la situazione giusta in base a quella che era la nostra esigenza. Poi credo che la passione, la voglia, la determinazione che noi dello staff abbiamo messo nella ricerca di questo giocatore ci abbia premiato portandoci Ryan. Ovviamente nel mercato devono combaciare tanti fattori, ma scovata l’occasione, l’abbiamo colta al volo.
Onestamente immaginavi questo tipo d’impatto, sportivo e mediatico, nel campionato? È il giocatore di maggior talento mai visto a Capo? Che futuro immagini per lui?
Onestamente non immaginavo questo tipo d’impatto. Credo che Ryan abbia avuto l’impatto più deflagrante sulla propria squadra rispetto al campionato. Daye di Pesaro, ad esempio, è un giocatore con cinque anni di NBA alle spalle e ha avuto comunque nove giornate in più per salvare Pesaro una giornata dopo rispetto a Boatright, da rookie, l’Orlandina. Le difficoltà nell’inserire a Capo d’Orlando una stella che ha vinto l’NCAA, che è stato copertina di Sport Illustrated, ci sono state. Abbiamo avuto però un approccio molto semplice con il ragazzo. Lui è arrivato a fine Gennaio, abbiamo contato i giorni che rimanevano alla fine del campionato e ho detto allo staff: “non pensate di cambiare la sua indole”. Ryan è un ragazzo d’oro, non ha mai creato problemi, ma questa chiave di lettura credo sia stata corretta e decisiva. Un gruppo come il nostro, che vuole provare a essere anche una scuola di vita per i giocatori più giovani, ha capito di aver bisogno di un ragazzo di talento come Ryan che potesse innalzare la qualità del gioco creando benefici nel breve per tutti e gli ha concesso qualcosa in più rispetto al solito. Questa è la dimostrazione che puntare su persone di qualità è sempre la scelta giusta. Devo ringraziare tutti in squadra per questo. È assolutamente il giocatore più talentuoso che ha mai giocato con l’Orlandina. A mio avviso lui ha le credenziali per giocare in NBA, potrebbe tranquillamente essere il cambio di un play perché ha capacità atletiche e realizzative enormi. Nella peggiore delle ipotesi vedo per lui una carriera europea di altissimo livello.
Sai che avendoci abituato a Boatright ti sei messo nei guai?
Si, doppiamente, per la qualità e per la tipologia del giocatore. Il fatto che sia arrivato un giocatore così forte e che conseguentemente siano migliorati i risultati della squadra, ha fatto sì che la cosa in sé venisse semplificata troppo. Se è vero che all’Orlandina serviva un play/guardia, è altrettanto vero che Boatright è il play/guardia più forte del campionato e il suo arrivo va vissuto come una cosa straordinaria in tutti i sensi del termine. Il suo impatto non è dovuto semplicemente al fatto che lui è un play/guardia americano e a noi serviva un esterno simile, ma lo si deve al fatto che Boatright è un giocatore di un altro pianeta. Pensare che l’anno prossimo possa accadere la stessa cosa non va bene. La programmazione deve continuare puntando sullo sviluppo dei nostri giovani giocatori e sull’aggiunta di veterani e americani in grado di supportare il gruppo. Ovviamente si sfrutteranno le opportunità che ci saranno e io lavorerò giorno e notte per prendere i giocatori migliori, ma bisogna pensare che non è una cosa scontata che il giocatore migliore del campionato giochi a Capo d’Orlando, anzi è presumibile che l’anno prossimo per tutta una serie di motivi facilmente individuabili il potenziale mvp della Serie A giochi altrove. In ogni caso noi dovremo proporre una buona pallacanestro e vincere delle partite, abbiamo già dimostrato che si può far bene anche in altri modi.
Vedere Laquintana e Perl risultare importanti se non decisivi in alcune gare, Munastra, Galipò e Vujicevic in campo, Ihring che ti dà 6 punti a Torino e cambia la faccia del match sul parquet di Avellino, seconda forza del campionato in un momento di dominio assoluto, è l’attestato di stima sul lavoro credo migliore che si possa ricevere. Ci dobbiamo aspettare altri colpi del genere?
Ti voglio citare Tommy contro Venezia e Milano, è stato per me commovente. L’intensità che ha messo in campo mi ha fatto pensare all’estate del 2012 quando aveva 16 anni e provai a firmarlo con un anno di anticipo. Vederlo lottare e battere Milano giocando 26 minuti di media mi ha dato la conferma che il lavoro paga e che questa è la strada giusta. Bisogna continuare così. Tutti questi esempi che hai citato sono grandi incoraggiamenti per noi. Alla fine di questo mese di maggio osserveremo altri giocatori da tutta l’Europa. È probabile che nel roster della prima squadra dell’anno prossimo non avremo altri nuovi giovani, ma lo zoccolo di quest’anno con un anno in più d’esperienza in Serie A. Abbiamo però già un occhio sulle nuove generazioni e stiamo reclutando dei prospetti del 2000 e 2001 di altissimo livello europeo.
Settore giovanile: Cosa diventerà per il club? Obiettivi a breve, medio e lungo termine?
Per l’Orlandina il settore giovanile ha una duplice finalità. Bisogna partire dal presupposto che Capo d’Orlando ha una posizione geografica non vantaggiosa e un bacino piuttosto piccolo, pertanto il settore giovanile dev’essere la base culturale e sociale di chi dovrà vivere il club in futuro. Vogliamo costruire oltre dei giocatori, arbitri, istruttori, preparatori, e diventare così il contenitore di chiunque voglia avere a che fare con la pallacanestro. Il club investe già sul reclutamento nel Sud Italia e all’estero in ottica prima squadra. In termini di risultati dobbiamo aspettarci il giusto perché il livello dei campionati regionali in Sicilia non è elevato, però il trend intrapreso è positivo. Obiettivo a breve termine? Aspetto con ansia il giorno in cui il nostro settore giovanile creerà il primo giocatore di A2, anche se per noi comunque è motivo di soddisfazione avere giocatori cresciuti a Capo che tengono gli allenamento della prima squadra in Serie A. A medio e lungo termine, invece, mi piacere che Capo d’Orlando venisse riconosciuta anche fuori dal Sud Italia come un settore giovanile di qualità che dà buoni valori e ottime prospettiva di crescita ai ragazzi. Secondo me in passato ci siamo venduti troppo esclusivamente un trampolino, questo ci sminuiva un po’. Oggi avere una squadra di serie A che si è salvata per il secondo anno di fila ci permette di finalizzare la crescita del giovane all’utilizzo in prima squadra. La prospettiva non deve più essere “vieni per metterti in mostra”, ma “vieni per lavorare e meritarti di giocare in prima squadra con noi”. È un passaggio fondamentale per creare mentalità e permettere al giocatore d’identificarsi con il club e quindi stare in campo con uno spirito diverso. Dobbiamo cessare di essere trampolino e divenire una chances per ogni atleta. Chi arriverà ci troverà disponibili al suo miglioramento individuale e se lavorerà bene, avrà spazio.
Basile e Nicevic. Gli chiederai di giocare ancora? Pensi con sincerità che possano giocare ancora? Cosa rappresentano oggi per l’Orlandina e cosa rappresenteranno in futuro per il club?
Intanto premetto che Basile e Nicevic sono sicuramente tra le migliori persone che io abbia incontrato, non solo nella pallacanestro, bensì nella mia vita. Sono delle leggende per Capo d’Orlando e a loro non si deve chiedere nulla. Gianluca Basile e Sandro Nicevic decideranno in piena autonomia cosa fare. Se chiederanno di continuare a giocare, avranno il posto. Del resto hanno dimostrato che possono ancora spiegarla in Serie A.
Io credo Baso possa essere in futuro una risorsa incredibile per il nostro club e per tutta la pallacanestro italiana. È un portatore sano di valori della pallacanestro corretta. S’incastra perfettamente con quello che è il nostro credo, mi piacerebbe davvero non perderlo. Sono disposto seriamente a cedergli il mio ruolo.
Sandro ha una personalità diversa, è un pensatore, un filosofo. Ha una cultura immensa, ha vissuto tante situazioni ed è un fine conoscitore del gioco. Può diventare un grande allenatore secondo me. Se dovesse decidere di smettere gli chiederei senza alcuna esitazione di fare l’assistente allenatore e gli darei anche grosse responsabilità sullo sviluppo dei nostri giovani.
Qual è stato intimamente per te il momento top della stagione?
Ne conservo due nello stesso giorno. All’intervallo della partita con Venezia eravamo sotto di dieci punti e, per via della classifica in quell’istante, ultimi a 4 dalla penultima. Guardai sconsolato mio padre, il suo sguardo era ancora fiducioso e fiero. Rientrai in campo perplesso. Quaranta minuti dopo Bramos sbaglia il tiro del pareggio, noi vinciamo, i risultati degli altri campi si erano capovolti e così ci siamo trovati ultimi a parità con altre due squadre che avevano perso. Lì abbiamo capito che ce la potevamo fare, ciò che venne dopo è adesso già storia.