Paolo Cuomo – Gazzetta del Sud
CAPO D’ORLANDO – Era arrivato con tante speranze nell’estate di nove anni fa in una squadra che in poco tempo diventò meravigliosa; se n’era andato, spinto dalla gloria, pochi mesi dopo, rivelazione assoluta della Serie A, per vincere lo scudetto nell’imbattibile Siena; poi era tornato – ma solo per un mese – grazie a una clamorosa operazione di mercato prima di dover lasciare forzatamente, assieme ai compagni, una Capo d’Orlando tra le lacrime per l’ingiusta cancellazione dalla mappa del basket. Oggi Drake Diener, il bravo ragazzo della porta accanto, è nuovamente qui tra di noi, perché a volte i campioni si fanno rivedere lì dove è nata la loro aurea. Ma questa non è una operazione-nostalgia, né un arricchimento dell’organico con un utile elemento di esperienza che parte dalla panchina. La 34enne guardia-ala del Wisconsin, noi ci crediamo, potrà diventare, nel campionato che prenderà il via il 2 ottobre, il giocatore con il maggiore impatto sul rendimento della sua squadra. Un Gianmarco Pozzecco edizione 2007/08, per intenderci, con altrettanta voglia di rilancio e di dimostrare di essere ancora un numero 1, un leader capace di far lievitare le potenzialità di tutto il gruppo. I suoi canestri da distanze siderali che trascinano il popolo, l’istinto, l’irresistibile gioco in transizione e il suo carisma potranno consentire all’Orlandina di chiudere presto in cassaforte la salvezza, mentre per capire se si può ambire a qualcosa di molto più importante bisognerà innanzitutto conoscere il nome del centro titolare. E allora riecco un vecchio amico, da una settimana nuovamente tra noi, che ci racconta com’è nata la trattativa per il ritorno a Capo d’Orlando. In realtà, dopo aver lasciato Saragozza a fine dicembre per il riacutizzarsi dopo oltre un decennio del morbo di Crohn e la rapida guarigione, Diener aveva già ricevuto una telefonata dall’Orlandina che poi virò su Ryan Boatright.
«Con il gm Peppe Sindoni i contatti sono stati sempre frequenti in questi anni. Non ci siamo mai persi, tutt’altro. Ricevere un’offerta non è stata una sorpresa, anzi era un passaggio quasi naturale. Con mia moglie e la mia famiglia abbiamo valutato a lungo, i ricordi erano splendidi, la gente semplice, il posto bello, insomma l’ideale per i miei tre bimbi e per vivere in tranquillità come piace a noi. Ho anche pensato alle lunghe trasferte e mi sono detto che sarebbero state come a Sassari. La firma è arrivata subito dopo».
– Tornerai sul parquet paladino dopo quei fantastici sei mesi, dall’estate del 2007 al febbraio successivo, quando avvenne il trasferimento a Siena.
«Che stagione incredibile! Accanto a Pozzecco si creò subito la chimica giusta, una squadra forte, costruita con intelligenza, che giocava e stava bene insieme e con i ruoli che si incastravano alla perfezione».
– Per SuperDiener tutto cominciò proprio da qui. Ed a volte, poi, si ritorna…
«Ai massimi livelli, senza dubbio, devo tantissimo a quella stagione, perché comunque non dimentico la prima volta in Italia a Castelletto. Tutto per me è iniziato grazie alla Pierrel. È veramente una bella storia. Ed ho già rivisto più di una faccia che mi ha riportato a quei tempi. E siamo di nuovo in ritiro a Borgo Abacena, come l’estate di nove anni fa. Corsi e ricorsi…»
– Capo d’Orlando nel recente passato ha voluto in squadra tanti campioni avanti con l’età che hanno contribuito ad alimentare la magia cestistica: Pozzecco, Wojcik, Basile, Soragna, Nicevic, lo stesso Ja- saitis e adesso Diener.
«Non è un fatto normale, ma il merito è della famiglia Sindoni che sa creare le condizioni migliori affinché giocatori dalla lunga e prestigiosa carriera continuino il loro percorso al vertice. È vero: Capo d’Orlando è un posto magico. E aggiungo che stiamo parlando di 5-6 giocatori “vecchi” che hanno continuato ad amare la pallacanestro come il primo giorno e che non hanno sentito il bisogno di giocare vicino Milano, le grandi città oppure come me adorano questo sport, hanno sempre pensato solo a giocare ed in Sicilia hanno trovato l’ambiente ideale».
– Tu e Meo Sacchetti: una lunga storia di basket, amicizia e affetto. «È come uno zio e il rapporto durerà per sempre. Una persona perbene, un uomo semplice, che ama la famiglia ed ha grande umanità. Cosa dire di più?»
– Tu e Travis: come due fratelli.
«Quando eravamo piccoli abitavamo a un chilometro di distanza e così abbiamo vissuto tutta la vita insieme. Basket, studi, amicizie. Le nostre mogli prima di sposarci si conoscevano benissimo, i nostri figli stanno crescendo insieme. Quella con mio cugino è un’altra splendida storia e sono felice di essere riuscito a giocare assieme a lui per tre stagioni».
– Idoli di Sassari, contribuendo in modo determinante alla clamorosa scalata della Dinamo.
«Con Travis ho avuto la fortuna di giocare in un’altra città che ha un feeling magico con i canestri. Ho firmato nel primo anno del presidente Sardara con un programma di assestamento in Serie A e siamo presto arrivati a vincere la Coppa Italia ed a giocare in Europa. E quando sono andato via la squadra ha conquistato lo scudetto, coronando un’ascesa strepitosa. In Sardegna ho lasciato tanti amici e tifosi meravigliosi che avrò il piacere di riabbracciare perché sono state le tre stagioni più belle della mia carriera».
– Già lo scudetto, che nel giugno del 2015 hai accarezzato a Reggio Emilia nella sfida infinita persa in casa proprio con Sassari in gara-7.
«Ci penso ancora e mi brucia perché è stata la sconfitta più brutta e amara. Era una grande opportunità per vincere il tricolore che invece è sfuggito di un soffio in più occasioni. E non mi riferisco solo alla “bella”, ma anche a gara-4, quando si fece male Lavrinovic, giocatore fondamentale capace di segnare 15 punti in 15 minuti e ovviamente all’epica gara-6, persa dopo tre supplementari. E anche il mio infortunio in semifinale ha avuto il suo peso. Alla fine ha, così, prevalso il talento di Sassari».
– Ancora è presto per sbilanciarsi, ma cosa ti aspetti da questo campionato?
«Di fare molto bene, questo è certo. Ho già parlato con il coach e le nostre idee di pallacanestro coincidono. Per me è una situazione un po’ strana. Il mio ruolo è cambiato rispetto a 9 anni fa quando ero giovane e pieno di energie; ora, invece, ne ho un po’ di meno, sono anche più “vecchietto”, ma ho l’esperienza necessaria da trasmettere ai tanti ragazzi interessanti dell’Orlandina. Voglio essere una voce preziosa, un esempio, una guida in ogni allenamento con la mia etica del lavoro. Nella speranza di fare innamorare i tifosi con canestri e vittorie».
Grazie Drake, il più importante ingaggio nella storia dell’Orlandina nel rapporto qualità del giocatore e della persona, costo e incidenza che potrà avere sui risultati. Alla prossima.