Andrea Barocci – Corriere dello Sport
«C’è una panetteria, qui a Capo d’Orlando, vicina al mio appartamento. Ci vado ogni giorno, insieme con la mia fidanzata Luciana. E ogni volta torniamo a casa con qualcosa in più di quello per avremmo voluto comprare, perché ci offrono sempre i loro biscotti tipici, quelli con il pistacchio e la nocciola. Luciana appena usciti dal negozio mi dice: basta, sennò qui finiamo per ingrassare!» Bruno Fitipaldo ride come il ragazzo che è: ad appena 25 anni è il capitano della nazionale uruguayana e, da pochi mesi, l’idolo dei tifosi siciliani. Un playmaker dal talento tipicamente sudamericano, capace però di far girare la piccola Orlandina come il motore di una fuoriserie. 14 assist serviti nel travolgente successo contro Cantù (+43) lo collocano al 3° posto in Serie A nella classifica di tutti i tempi, guidata ancora dal grande Kukoc (16, nel 1992).
ATLETICA – Il basket è nel suo DNA, visto che il padre «giocava pro in una lega non molto professionale a quel tempo – racconta Bruno, nato a Montevideo -. Ma io ho iniziato da bambino con il calcio, come la maggior parte dei “latinos” e non ero neppure tanto male a centrocampo. Solo a 9 anni mi sono avvicinato al basket». Che è diventato il suo unico grande amore. Ma il fisico non lo aiutava a migliorare come avrebbe voluto. E allora… «Allora, avevo 15 anni, ho capito di essere lento, e che avevo bisogno di un lavoro fisico speciale». Così ha chiesto aiuto ad Andres Barrios, famoso tecnico di atletica, e ha cominciato a correre sulla pista assieme a quella che sarebbe diventata una delle più famose sportive del Paese, la quattrocentista Deborah Rodriguez, poi olimpica a Londra 2012. «Deborah ha un anno meno di me, ci siamo allenati tanto assieme, e tutt’ora siamo rimasti in contatto».
ESEMPI – Potenziato il corpo, Fitipaldo ha pensato alla testa, prendendo ad esempio due persone completamente differenti tra loro. La prima è Ginobili, l’asso argentino degli Spurs: «Manu ha un’intelligenza superiore e una mentalità perfetta per uno sport di squadra. Ha saputo cambiare il suo gioco con il passare degli anni a seconda di quello che il corpo gli permetteva di fare». L’altro si chiama Juan Andrés, ha due anni più di lui, soffre della sindrome di Down. Ed è suo fratello maggiore. «Io, l’altro fratello e i miei genitori abbiamo imparato tanto e tanto continuiamo a imparare da lui – spiega serio il playmaker – E’ una situazione particolare: non tutti hanno la possibilità di tenere una persona speciale in famiglia come facciamo noi. Juan ci ha aiutato ad apprendere molte cose, è stato un grande esempio: ha fatto tanti sforzi per andare a scuola, per imparare a lavorare e per guidare un’auto come una persona normale».
MATE! – Da uruguayano, Bruno potrebbe rinunciare a tutto ma non al suo “mate” l’infusione preparata con le foglie di un erba famosissima in Sudamerica. Questa passione gli ha creato una curiosa situazione in Sicilia. «Bere il mate ogni giorno è una tradizione. Quando sono sbarcato a Capo d’Orlando, con Luciana ne abbiamo portati 5-6 chili, poi i miei genitori e quelli della mia ragazza ne hanno portato altro… Insomma, ne abbiamo abbastanza. Solo che qui la gente che non mi conosce e mi vede con questa “erba” mi chiede che cosa sia: la guardano con una faccia strana, in molti pensano sia marijuana…» Anche la maniera di servirsi a tavola di Bruno, propria dei Paesi sudamericani, ha dato vita a una scena curiosa qualche mese fa. «In Uruguay mettiamo tutto nello stesso piatto: riso, carne, verdura. La prima volta che abbiamo mangiato assieme, in precampionato, i compagni mi hanno osservato come un morto di fame che doveva sbrigarsi a ingoiare quello che aveva davanti! Ora a casa, con Luciana, mangio come siamo abituati a fare, e fuori, in trasferta, come fate voi in Italia.
ATMOSFERA – «Cosa ha di speciale Capo d’Orlando? L’atmosfera, la gente, la società -spiega il regista diventato beniamino degli straordinari tifosi siciliani -: sempre positive e ambiziose. Mi hanno dato fiducia e la possibilità dimostrare quello che so fare. Mi lasciano giocare. E per me questo è fondamentale».