SENZA INVESTIRE NEI VIVAI E DELUDENDO LE SPERANZE DEI RAGAZZI CHE INSEGUONO UN POSTO IN PRIMA SQUADRA, LA PALLACANESTRO ITALIANA NON HA FUTURO
Vincere non è tutto. Almeno se date a quella parola il significato più scontato. Per me si può vincere anche perdendo di 15 al Taliercio, come accaduto all’Orlandina nella seconda giornata di Serie A. Prima che mi prendiate per matto, cosa che sospettate già da un po’, vi spiego perché: in quella partita la Betaland ha fatto giocare 15 minuti a Giorgio Galipò, orlandino di 16 anni che indossa quella maglia sin dal minibasket. Questi sono successi da ricordare, altro che il risultato sul tabellone! E’ così che la pallacanestro italiana deve fare reclutamento, facendo capire che quando un bambino (come ricordo io Giorgio quando sono arrivato per la prima volta da quelle parti) è appassionato, si impegna e mette in campo tutto quello che ha per inseguire il proprio sogno, un giorno non troppo lontano potrebbe arrivare in Serie A. Fortunatamente negli ultimi due anni ci sono state squadre come Reggio Emilia, Cremona e Trento che hanno dimostrato che investire negli italiani conviene anche a livello di risultati (quelli sul tabellone), ma il punto è che i vantaggi maggiori li avrai nel lungo periodo. Se fai giocare i ragazzi italiani, il ritorno di un investimento nel settore giovanile è tangibile e quando sviluppi il settore giovanile, se non altro crei tifosi, attenzione, interesse. In questo momento la maggior parte degli appassionati di pallacanestro è rappresentata dai praticanti e, se non dai quantomeno l’illusione che uno di loro possa arrivare in prima squadra, è dura reclutarli.
Aggiungo che, visto l’appeal che la Serie A esercita in questo momento, costruire i giocatori in casa mi sembra un’ottima idea. Per prima cosa, infatti, dobbiamo accettare il fatto di non essere più un campionato in grado di attirare i migliori stranieri: negli ultimi anni in cui ho giocato l’aria stava già cambiando e adesso non solo non siamo più il secondo campionato del mondo dopo l’NBA, ma neanche il terzo o il quarto. Le altre nazioni europee si sono evolute, mentre noi non abbiamo mai fatto niente per crescere, per aggiornarci. Eravamo convinti che bastasse il patrimonio cestistico per rimanere a galla, che fosse sufficiente vivere nel posto più bello del mondo per convincere la gente a venire da noi a giocare: sbagliavamo. Quando parlo con Mrsic, Nakic o Aza Petrovic, tutti croati per i quali l’Italia era la prima ambizione dopo l’NBA, non si capacitano di come tutto sia cambiato così rapidamente. Sasha Djordjevic ha detto che il nostro è diventato un campionato di sviluppo, poco più di una vetrina e che questo è successo perché abbiamo rinunciato alla nostra identità quando abbiamo riempito le squadre di stranieri. lo sono certo che fosse meglio averne due forti, piuttosto che 5 o 6 modesti e lo stesso mi diceva sempre anche Melvin Booker quando ci ritrovammo a Mosca. Se parliamo di sviluppo, crescita e investimenti, la Russia è un ottimo esempio: la prima volta ci sono stato nel 1997 e quando ci sono tornato per giocare col Khimki nel 2005 era un mondo completamente diverso, preparato ad accogliere gli stranieri e a convincerli che valesse la pena andare tanto lontano da casa per competere in quel contesto. Non troppi stranieri, comunque, perché i campionati di élite non si possono affidare esclusivamente agli americani, altrimenti perderebbero gran parte del proprio fascino, soprattutto agli occhi dei tifosi locali. Il basket che mi piace di più si gioca in Spagna: i ragazzi che arrivano da oltreoceano non sono tantissimi, l’atletismo non è eccessivo e si gioca la pallacanestro più bella. Il mitico coach Aito, un paio di estati fa, spiegò perfettamente che quando scegli un giocatore non devi concentrarti solo sul talento, ma cercare innanzitutto qualcuno che sia disposto a identificarsi col club, con la città, in sostanza che voglia venire a giocare da te e non che ti usi come un trampolino per scappare il prima possibile da un’altra parte. Secondo voi quanti stranieri firmano per una società italiana convinti di iniziare un percorso nel nostro campionato? E pensate che senza partecipare alle coppe la situazione sia destinata a migliorare? Senza l’aggiunta della ribalta internazionale, la Serie A non è una vetrina sufficiente ad attirare buoni giocatori e per questo la rinuncia all’EuroCup è un problema enorme. Mi dispiace molto per gli amici di Sassari e per le altre squadre che hanno dovuto fare un passo indietro: spero che si trovi una soluzione al più presto, anche per evitare che si crei una voragine tra Milano e il resto del campionato. Vi garantisco che già la differenza tra Eurolega ed EuroCup, in termini di budget disponibile, è notevole (qui al Cedevita erano pronti a investire almeno il doppio se fossimo stati ammessi al piano di sopra), figuratevi quale può essere la distanza tra l’Eurolega e il nulla…