Andrea Barocci – Corriere dello Sport
CAPO D’ORLANDO – La scorsa stagione, dopo 14 giornate, Capo d’Orlando era ultima in classifica. In teoria già retrocessa. Oggi, salvatasi, l’Orlandina rappresenta un miracolo sportivo, e la conferma che in Sicilia anche in una cittadina di 13.000 abitanti è possibile trasformare i sogni in realtà. Entrata clamorosamente nelle Final Eight di Coppa Italia, la Betaland è quinta in classifica dopo aver battuto la corazzata Venezia (con Laquintana che potrebbe essere ceduto a Brescia). Enzo Sindoni, nato in Venezuela dove guida un importante gruppo nel settore alimentare, 20 anni da sindaco e altrettanti da proprietario dell’Orlandina, è giustamente orgoglioso del suo gioiellino: «A questo livello non possiamo certo fare quello che fanno gli altri. Per cui, inventiamo… Ad esempio lavoriamo sul mercato dove e quando gli altri club non operano. E questo è merito del direttore sportivo».
Che è suo figlio Giuseppe.
«Sì, ha 28 anni, guadagna meno di quello che potrebbe e divide con me la gestione della società. Le sue qualità sono la ragione del nostro salto in avanti».
Cosa rende Capo d’Orlando così speciale nel mondo del basket?
«Qui l’ambiente non mette mai pressione alla squadra. Un giocatore non gioca come dovrebbe? I tifosi gli parlano, lo invitano a prendere un caffè, lo coccolano, lo confortano. Avete presente quello che è successo pochi giorni alla Lazio Calcio (quando un tifoso ha insultato Biglia e Tounkara ha reagito con un pugno, ndr)? Ecco, da noi accade il contrario».
Continuate a vincere nonostante abbiate ceduto al Galatasaray Fitipaldo, miglior play della A. Come è possibile?
«Aveva ricevuto una proposta irrinunciabile, un ingaggio sette volte e mezzo maggiore di quello che guadagnava da noi, con un’opzione per la prossima stagione. Mi ha detto: “Presidente, non togliermi questa possibilità” Cosa dovevo rispondergli… Come facciamo? Grazie alla capacità della società. Tra serie A2 e A questo è il nostro 11° anno tra i pro e viviamo in maniera più che dignitosa, senza però perdere i valori che sono propri di un club a conduzione familiare. Insomma, la nostra è un’impresa che si confronta con realtà nazionali ben più grandi, mantenendo il carattere artigiano. Oggi Capo d’orlando è una realtà importante per lo sviluppo turistico della nostra terra, e noi siamo orgogliosi di aver dato il nostro contributo».
Lei la scorsa stagione, esonerando Griccioli, ha promosso il vice Di Carlo, riuscendo a salvarsi. Oggi è il suo coach è la rivelazione della A: coraggio o incoscienza?
«Quando era assistente ho potuto conoscerne le qualità umane e tecniche. Non cercavo un capro espiatorio, ma mancava qualcosa per rendere forte la coesione in squadra. Gennaro aveva capito la personalità del gruppo e i nostri valori; mi ha colpito la sua capacità di gestire un momento emotivamente molto difficile».
La Fip, in accordo con la Lega, ha stabilito che dal 2017-18 le gare dei play off debbano essere giocate in impianti da almeno 5000 posti, e con aria condizonata. Il vostro PalaFantozzi contiene 3500 persone… La ritiene una regola giusta?
«Per me non ha alcuna logica in questo momento del nostro Paese e del nostro sport. E poi, al di là del fatto che i nostri Palazzetti non mi sembrano sempre pieni, ci sono poche possibilità di rivolgersi alla pubblica amministrazione per adeguare gli impianti. Visto che attualmente solo 9 società su 16 in questo senso sono in regola, allora io chiederò di giocare le nostre partite interne… a casa della squadra rivale! Affronteremo Milano? Allora voglio giocare a Milano: tramuteremo la situazione in un’occasione per fare cassa, e allo stesso tempo mortificheremo lo sport. Lo so, la mia è una provocazione, ma questa non mi sembra una decisione lungimirante. Spero ci sia una risposta della Lega ai dettami della Federazione: smettiamola di fare la figura dei proprietari deficienti che pagano e non vengono ascoltati».