Benedetto Giardina – Il Sole 24 ore
Nello stemma e nella divisa portano l’effige del paladino Orlando, ma i giocatori dell’Orlandina metteranno in scena a Rimini un altro mito, quello di Davide contro Golia. Una rappresentazione che dura da anni, da quando nel 2014 il club siciliano ha riportato l’isola nella massima serie del basket italiano, a sei anni dalla radiazione dopo uno storico sesto posto. Da lì la scalata dell’intera piramide della pallacanestro nazionale, dalla C Dilettanti fino alla Serie A, senza passare per la compravendita di titoli. Passo dopo passo, l’Orlandina è tornata nell’elite del basket italiano e non conta solo di restarci: punta a diventare la guastafeste delle big. La qualificazione alle Final Eiglit è la conferma: la società col budget più basso del campionato è lì, al gran ballo di metà stagione, come quinta testa di serie. Un monte ricavi inferiore ad un decimo di quello dell’Olimpia Milano, pari a circa 1,9 milioni, non ha frenato la strategia dell’Orlandina. Un lavoro volto allo sviluppo dei giovani provenienti da tutta Europa e non solo, con qualche vecchio volpone inserito a roster per dare l’esperienza giusta e colpi ad effetto trasformati in campioni da esportare in tutto il continente. L’ultimo di questi ha lasciato la Sicilia poche settimane fa per trasferirsi al Galatasaray: il playmaker uruguaiano Bruno Fitipaldo, preso a zero e liberato tramite un buyout da circa 180 mila euro. A differenza del calcio, però, la compravendita dei diritti sportivi (se così si può definire) rappresenta una fetta minuscola del giro d’affari . A maggior ragione di una società dal budget ridotto come quello dell’Orlandina: sponsor e pubblicità valgono da soli il 65% del fatturato, mentre il botteghino a fatica “pesa” il 10% sul fronte entrate. Le dimensioni ridotte del PalaFantozzi (3500 posti) e un richiamo non troppo forte in ima realtà da 13mila abitanti qual è Capo d’Orlando influiscono negativamente sul ticketing, che nella stagione 2015/16 ha portato poco meno di 226 mila euro e in questa prima metà di campionato solo i 122 mila curo, con una media inferiore ai 2 mila spettatori a partita. Neanche a dirlo, ultima della classe in entrambi i casi. Una situazione non semplice, che unita alle entrate pubblicitarie costringe il patron Enzo Sindoni a operare con un budget impossibile da paragonare a quello delle avversarie. Gli stipendi incidono sul 70% delle uscite del club e sono pari a circa 1,5 milioni di euro per l’intero roster, praticamente quanto le altre sette concorrenti spendono in linea teorica per il quintetto base (o nel caso di Milano per due-tre giocatori). Puntare sui giovani, in condizioni del genere, è una scelta obbligata. I risultati, però, arrivano lo stesso. E la zona playoff non è un sogno.