Sebastiano Ilardi – Corriere dello Sport
CAPO D’ORLANDO – Si aggira per Capo d’Orlando da qualche anno, precisamente dall’estate di quattro anni fa. Schivo, silenzioso, mai una smorfia di dolore, felicità, rabbia o emozione. Dominique Archie, ala statunitense della Betaland Capo d’Orlando, racchiude in sé il fascino del mistero. Se fuori dal campo appare timido, dentro si trasforma. Non importa il molo, la gaia, l’avversario, Archie è un giocatore completo come pochi, che vive e lotta per la squadra in cui gioca e per la pallacanestro. Un brutto infortunio al ginocchio negli anni del college poteva pregiudicargli la carriera, un incidente di quelli che avrebbero spento i sogni di ogni atleta. Non di Dominique però, non di “Mimmo”, come lo chiamano affettuosamente a Capo d’Orlando, l’uomo da cui nulla traspare. L’intuizione del direttore sportivo Giuseppe Sindoni che lo scovò e lo portò in Sicilia nel luglio 2013 è di quelle da raccontare: «Ho visto Archie la prima volta nel dicembre 2012 in EuroChallenge – racconta il giovane dirigente – era il suo secondo anno al Timisoara. Mi colpì subito, paradossalmente perché non aveva delle statistiche incredibili (11 punti e 6 rimbalzi, ndr) e nonostante ciò i rumeni lo confermarono. Già la riconferma di un americano è una sorta di rarità, se i suoi numeri non fanno impazzire, vuol dire che sotto c’è qualcosa di concreto. Cominciai così a studiarlo, lo feci vedere anche a Gianmarco Pozzecco che al momento di chiudere l’affare mi disse: “mi fido di te, basta video”. Avevamo deciso quell’estate di prendere solo ragazzi, come Archie, per cui Capo d’Orlando potesse significare un passo avanti in carriera. Oggi dopo quattro anni e mezzo vedo un giocatore molto più completo sotto il profilo tecnico e tattico, con una conoscenza del gioco vasta, e che sa stare in campo ai massimi livelli con il mix giusto d’equilibrio ed energia Ha aggiunto al suo bagaglio la pericolosità dal perimetro, Dom continua a stupire». Domenica, a Cantù, Archie ha martellato la retina avversaria chiudendo con 20 punti (5/8 dall’arco), 3 rimbalzi e 4 assist, sfogando sul campo tutta la sua voglia. «Dopo la partita di Coppa abbiamo avvertito di aver perso un’opportunità per fare qualcosa di veramente speciale. Non ci siamo parlati tanto, ci siamo buttati sul lavoro perché vogliamo dimostrare di essere in grado di competere per i playoff. Siamo un gruppo stupendo – aggiunge Archie – non vedrai mai nessuno di noi forzare una palla. Ho fatto 20 punti, altre volte è capitato ad altri miei compagni, ma tutti sappiamo che non abbiamo possibilità di segnarne 20 ogni sera. Ognuno di noi ha bisogno dei compagni, tra di noi c’è fiducia». Parla da leader Archie, è ormai un veterano dell’Orlandina: «Il nostro spogliatoio è forte, Tepic, Drake, Sandro e io tiriamo il gruppo, ma siamo tutti indirizzati verso un’unica direzione. Non c’è un modo di fare per essere un leader, devi lavorare e dare l’esempio se vuoi rispetto». Sicuro e deciso quanto riflessivo e attento, Archie è un americano di quelli che se ne contano tra le dita di una mano. «Esco poco la sera e se esco sto sempre con i miei compagni – confida l’ala americana – so che la gente s’è affezionata a me, quasi non me lo spiego perché io parlo davvero poco. Stare lontano dalla mia famiglia non è facile, soffro anche io. Qui è tutto così strano da questo punto di vista per me, intendo bello, farò davvero fatica a dimenticarmi di Capo d’Orlando. E’ straordinaria la passione dei tifosi, loro rifanno capire quanto apprezzano i tuoi sforzi in campo».